Educazione alla sessualità: una esperienza

Identità di un papà incinto

La nascita di un figlio, questo evento che sa di "miracolo" e che al contempo ci immerge dentro una compiaciuta nostalgia del mistero della Creazione, come a rammentarci, sia pure solo per uno spizzico infinitesimo di tempo, quel momento felice in cui tutti eravamo amore eterno, lo stesso amore a cui ora aneliamo, rappresenta un fenomeno che include al suo interno tutto un universo femminile fatto di mamma e di nonne, di ostetriche e di mamme altre, di zie e di tate, tutte accomunate dall'essere feconde e accoglienti come la terra e come la natura, cui spesso si da, per l'appunto, l'appellativo di madre.

E il padre? 

Questo sconosciuto, questo povero Carneade, di cui in pochi si curano? 
E i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi dubbi, le sue frustrazioni mal celate, la sua gioia, il suo desiderio di scoppiare in lacrime, in riso, in urla che avvisino il mondo ignaro del nuovo evento, questo "piccolo essere" chiamato padre a cui viene riservato il ruolo un po' fantozziano di ricevere dalle braccia di una esperta e sbrigativa infermiera il bimbo già lavato e vestito, per mostrarlo, con prese impacciate, attraverso dei tristissimi ma, quanto mai, opportuni vetri ad un "branco selvaggio" di parenti e amici, questo uomo che incarna l'universo virile della mascolinità, in quale luogo dell'evento viene relegato? 
Quale livello di attenzione gli si propone? 
Che tipo di ascolto gli si offre? 

Tutto inizia, male, già dal ginecologo, quando il bimbo è ancora nella pancia. A stare di fronte allo specialista in camice bianco non si è in due. Lui, lo specialista, maschio o femmina che sia, vede esclusivamente la "gravida", il resto è solo un'appendice. Non si tratta di un "marito-futuro padre" in apprensione e con mille domande da fare, ma solo di un'appendice, talvolta persino fastidiosa, dell'unica protagonista: la mamma! La mia esperienza con ginecologi di entrambi i sessi è stata sempre frustrante. Bassissimo il livello di attenzione prestatemi, e, persino di fronte a mie domande specifiche ho trovato risposte frettolose e sguardi fermi su ricette e documenti medici, mai sollevati per incontrare i miei occhi, a dare almeno l'impressione di una risposta consapevole.

Prosegue peggio in ospedale, dove il papà, di solito, viene preso in considerazione solo per essere invitato ad andare via, dalla stanza di degenza, dalla stanza della visita medica, dalla sala travaglio, dalla sala parto. E la fatica, il tempo e i soldi spesi per il corso preparto? Là dove ti insegnano le tecniche per aiutare la tua lei nel respiro, per assisterla sul piano psichico, per starle vicino sul piano nervoso? Se poi non ti permettono di vivere accanto a lei tutti i passaggi che precedono il parto a cosa ti serve aver acquisito tutte queste tecniche? Ahimè, dentro la maggior parte delle nostre strutture ospedaliere si ritiene che il parto sia un evento esclusivamente al femminile!

E infatti non va meglio al momento del parto, il cuore della "commedia", il culmine dell'opera che si compie. Questo è il momento in cui il papà del nascituro deve mettere in atto tutte le alchimie possibili per riuscire ad ottenere ciò che, tutto sommato, dovrebbe appartenergli naturalmente. La possibilità di assistere la sua compagna in un momento così delicato e di massima intimità e condivisione, nonché la possibilità di veder nascere il proprio figlio. In questo senso la mia esperienza è stata ancora una volta disarmante, dal momento che, nonostante gli accordi presi con il ginecologo circa la mia presenza in sala parto, quando è giunto il momento, nessuno tra infermieri e medici sapeva che avrei dovuto assistere e così ho visto il lettino di mia moglie varcare la soglia oltre la quale io non potevo andare, bloccato da un personale, in questo caso, molto solerte. Solo per via della mia insistenza il ginecologo alla fine si è ricordato del nostro accordo e mi ha fatto entrare laddove di lì a poco sarebbe nata mia figlia. 

E per concludere questo iter di frustrazioni e di solitudine ospedaliere, a parto avvenuto, al papà, al di là dei primi momenti, nei quali viene solo concesso di godere della presenza di "quest'esserino" minuscolo che ancora bisogna imparare a conoscere, subito dopo è relegato "fuori da tutto", e la sua presenza accanto a figlio e madre è regolata esattamente come quella di un normale visitatore. Questo va proprio al di là di ogni logica naturale, civile e morale! 

Giunti finalmente a casa, il "branco selvaggio" di amici e parenti si precipita a rovinare quel poco di intimità che la nuova famiglia sta cercando faticosamente di costruire, e anche in questo caso, fatta eccezione per la banalissima domanda "come ti senti ora che sei babbo"? spesso formulata senza neanche attendere una risposta, tutte le attenzioni sono per il piccolo e per la mamma. Qui, bisogna riconoscere anche quelli che sono i limiti e la superficialità dell'universo mascolino, all'interno del quale il dialogo difficilmente trova la via dei sentimenti e delle emozioni, lasciando spazio, più facilmente, ad argomenti futili, quali il calcio e il lavoro. Come siamo poveri e paurosi noi maschi quando si tratta di affrontare la nostra intimità!

Fatta questa rapida disamina di ciò che accade ad un padre normale, che non può permettersi la camera privata in una lussuosa e confortevole clinica all'avanguardia, proviamo a considerare quelli che potrebbero, invece, essere i bisogni di un papà incinto. Basterebbe veramente poco! Basterebbe semplicemente che tutti gli interlocutori a cui ci si rivolge quando si è consapevolmente dentro l'evento nascita, si ricordassero che di fronte non hanno solo una mamma da accudire, ma una coppia. Una coppia i cui componenti hanno esigenze differenti, ma che, il più delle volte condivide uguali paure, uguali dubbi, identiche emozioni. E se per un verso è alla mamma che bisogna rivolgere il massimo delle attenzioni, per l'altro occorre ricordare che anche il papà ha necessità di tirare fuori le sue emozioni.

La mia esperienza mi dice che avrei voluto interagire di più con i conduttori e con gli altri padri del corso preparto, mi sarebbe piaciuto fare più domande ed avere più risposte dal ginecologo, per fugare dubbi e paure circa la salute della mia compagna e del bimbo nella pancia, e ancor di più avrei gradito un trattamento "umano", ancor prima che da marito e da padre, in ospedale, dove esistono solo "casi clinici" e difficilmente i medici incontrano persone.

Adesso che la mia bimba è nata, credo possa essere importante raccontare agli altri padri o futuri padri, che, a distanza di mesi le mie emozioni non sono per nulla sopite, che ancora oggi mi commuovo quando la tengo in braccio, mi "sciolgo" quando mi sorride e allunga verso di me le sue braccine mi diventano gli occhi umidi se la vedo nel suo lettino dormire beatamente, e che non posso fare a meno di parlare di lei con amici e persino con colleghi di lavoro, che mi confronto continuamente con la sua mamma circa la salute, le vaccinazioni e su ogni cosa che la riguarda, condividendo anche le paure, perché è soprattutto sulle paure che non bisogna mai tacere, proprio per non dare loro maggiore valenza di quanta non ne abbiano realmente e non amplificare problemi talvolta banali.

Trovo anche molto utile il confronto tra padri, in un dialogo tutto al maschile, circa le dinamiche dell'infanzia, condividendo le diverse esperienze. Ma in tal senso sono pochissimi i miei interlocutori. Sarebbe bello incontrare sul piano delle emozioni tanti altri papà e raccontare loro come ogni giorno guardando mia figlia riesco a stupirmi per il semplice fatto che è mia figlia, e ancora, come nulla per me è tanto straordinario quanto cullare la mia piccola bimba e sentirla dormire tra le mie braccia.

Buona paternità a tutti.

da: Suggerimenti dall'enciclopedia di Diderot
in "Lettera di Famiglia" n. 26, luglio 2002, pagg. 11-13 - Oasi Cana, elenco completo

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