Educazione alla sessualità - articoli

Demografia e dintorni

Il crollo demografico (13 maggio 2006)

Un esempio dall'anticlericale Francia (24 settembre 2005)

L'Unione Europea e il calo demografico (10 settembre 2005)

Falsi allarmi sulla bomba demografica (10 luglio 2003)

Gli Usa tagliano i fondi alla lobby contraccettiva. La Ue li aumenta (1 agosto 2002)

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Prosegue il drammatico crollo demografico

Zenit - 13 maggio 2006

Secondo il Papa, tra le cause, “un'inquietante mancanza di fede, speranza e amore”

ROMA, sabato, 13 maggio 2006 (Zenit.org- ZIA06051301).- Benedetto XVI, in un messaggio del 28 aprile, inviato ai partecipanti alla dodicesima sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ha fatto riferimento alla “necessità urgente” di riflettere sul tema dell’invecchiamento demografico.

Gli esperti concordano sul fatto che stiamo assistendo ad un aumento dell’aspettativa di vita e al contempo ad una diminuzione delle nascite, osserva il Papa. Le società invecchiano e “molte nazioni o gruppi di nazioni non possiedono un numero sufficiente di giovani per rinnovare la popolazione”.

Sempre di più evidenti sono le conseguenze sociali ed economiche dello scarso numero di bambini. Il 30 aprile, il New York Times ha riferito del caso di Ogama, un villaggio rurale del Giappone che si è ridotto a soli 8 abitanti, tutti anziani. Essi hanno deciso di lasciare il villaggio e di venderlo ad una società che lo trasformerà in una discarica.
Sessanta anni fa nel villaggio vivevano circa 30 famiglie, ciascuna composta da 8 o 9 persone. Ogama appartiene al comune di Monzen, che copre 140 villaggi, il 40% dei quali ha meno di 10 famiglie, composte soprattutto di anziani, osserva l’articolo.

Il 2 maggio, la Reuters ha riferito che il Governo giapponese sta pensando di consentire alle agenzie matrimoniali di farsi pubblicità in televisione, nella speranza di favorire i matrimoni e le nascite. Dai dati del Ministero della Sanità giapponese risulta che l’età media del primo matrimonio, per le donne, è di 27,8 anni, rispetto ai 25,8 del 1988.

Il quotidiano britannico Guardian ha trattato il tema del crollo delle nascite in Europa il 3 maggio scorso, il giorno dopo in cui il Governo tedesco ha deciso di aumentare gli incentivi destinati alle coppie che fanno figli. Tra le misure tedesche vi sono riduzioni fiscali, più asili nido e lo stanziamento di fondi pubblici per consentire agli uomini di assentarsi dal lavoro dopo la nascita del figlio.

Ma la maggiore destinazione di soldi può non essere sufficiente per risolvere il problema, commenta il Guardian. La Germania spende già il 3,1% del suo Prodotto Interno Lordo per le famiglie e i bambini, ben oltre il 2,1% della media dei Paesi dell’Unione europea.

L’aumento degli stanziamenti è intervenuto dopo che l’opinione pubblica è rimasta impressionata dai dati ufficiali pubblicati a marzo, da cui risulta che lo scorso anno sono nati in Germania tra i 680.000 e i 690.000 bambini. Una cifra inferiore persino a quella relativa all’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, osserva Rolf Wenkel in un editoriale pubblicato il 16 marzo da Deutsche Welle.

“Abbiamo completamente mancato di reagire al crollo costante del tasso di natalità in Germania negli ultimi 30 anni”, sostiene Wenkel.

Il 2 maggio il Guardian ha pubblicato i risultati di un sondaggio svolto in Gran Bretagna, da cui risulta che la gente si sente costretta a rimandare la vita familiare a causa delle pressioni lavorative e della difficoltà di trovare un partner. Circa il 20% delle donne inglesi raggiunge la fine dell’età fertile senza avere avuto figli, secondo il British Office of National Statistics, rispetto al 10% degli anni ’40. E nel 2004 il tasso di fertilità nel Regno Unito è stato di 1,77 figli per donna, ben al di sotto del 2,95 degli anni ’60.

Commentando il sondaggio, Libby Brooks osserva che un altro motivo fondamentale rilevato, dei bassi tassi di natalità, è che il modo in cui le coppie oggi stanno insieme non è più come in passato. I “moderni imperativi di autonomia e indipendenza” possono ben ostacolare la formazione di matrimoni stabili in cui crescere i figli, sostiene Brooks.

Per contro, la Francia sta andando relativamente bene. Secondo la Reuters del 26 aprile, la media francese di 1,9 bambini per donna è la più alta dell’Unione europea, dopo quella irlandese dell’1,99. Ma in ogni caso, nessuno dei 25 Paesi dell’Unione europea raggiunge il 2,1, necessario per mantenere stabili i livelli demografici attuali.

Il Governo francese punta ad aumentare ulteriormente il numero delle nascite. Lo scorso settembre, il primo ministro Dominique de Villepin ha affermato che il tasso di natalità era insufficiente ad assicurare una stabilità della popolazione ed ha annunciato nuovi incentivi per favorire le nascite.

Non sorprende che le previsioni sui tassi demografici in Europa indichino ulteriori ribassi. I dati sono stati recentemente pubblicati nel bollettino Statistics in Focus (3/2006), una pubblicazione di Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione europea.

Il bollettino contiene diverse previsioni, a seconda dell’evoluzione dei livelli di fertilità e di quanti immigrati vengano ammessi nei Paesi UE. Tuttavia, “in ogni caso, i decessi saranno maggiori delle nascite e l’immigrazione non farà altro che rimandare solo temporaneamente il calo demografico”, afferma la pubblicazione.

La popolazione sarà notevolmente più anziana. Nel 2004 vi erano 4 persone in età lavorativa per ogni anziano non lavoratore. Nel 2050 saranno solo 2 lavoratori per ogni anziano non attivo. Ed è previsto che il numero delle persone ultra ottantenni sarà quasi triplicato per metà secolo, passando dai 18 milioni del 2004, ai circa 50 milioni del 2051.

Il problema non potrà risolversi neanche ipotizzando alti livelli di immigrazione.

Se assumiamo una migrazione netta positiva di circa 40 milioni di persone nell’arco di tempo fino al 2050, per quella data la popolazione in età lavorativa sarà diminuita comunque di 52 milioni
E la popolazione totale si sarà ridotta di 7 milioni
.

Un recente libro, a cura di Fred Harris, dal titolo “The Baby Bust: Who Will Do the Work? Who Will Pay the Taxes?” (Rowman & Littlefield Publishers), prende in esame alcune implicazioni derivanti da questi cambiamenti.

Nel capitolo sull’Europa, Hans-Peter Kohler, Francesco Billari e José Antonio Ortega, osservano che i cambiamenti demografici avranno profondi effetti sociali. Un minor numero di nuclei familiari con due o più figli riduce la capacità delle famiglie di contribuire socialmente ed economicamente.

Dopo un’analisi dettagliata delle cause dei bassi tassi di fertilità, gli autori esprimono dubbi sul successo di politiche governative che prevedono incentivi diretti a favorire le nascite. Esiste effettivamente una relazione positiva tra alcune politiche pubbliche e il comportamento riproduttivo, ma si tratta di una relazione debole e che richiede del tempo per produrre i suoi effetti.

Cala anche la Russia. I bassi tassi di fertilità non sono limitati all’Unione europea. Nella prima metà del 2005, la popolazione russa è diminuita di 400.000 unità, secondo il Financial Times di Londra del 21 aprile.

Il numero di bambini per donna è crollato dai 2,19 del 1986-87, all’1,17 del 1999. Da allora, esso è aumentato all’1,3. La situazione è aggravata dal crollo dei matrimoni e dall’aumento dei divorzi. Inoltre, gli uomini russi hanno un’aspettativa di vita poco al di sotto dei 60 anni. Di conseguenza alcuni prevedono che la popolazione di 146 milioni del 2000 potrebbe ridursi a soli 100 milioni entro la metà del secolo.

Messico. Persino i Paesi che tradizionalmente fanno molti figli stanno vivendo un brusco calo nei tassi di natalità. Qualche decennio fa le donne messicane avevano in media famiglie con quasi 7 figli, ma oggi hanno poco più di 2 figli, secondo il Wall Street Journal del 28 aprile.

Di conseguenza, questo calo di natalità potrebbe, tra l’altro, ridurre in futuro il numero degli immigrati messicani negli Stati Uniti. Attualmente, milioni di messicani ventenni e trentenni sono in cerca di lavoro. Nel 2050 l’età media della popolazione messicana - attualmente di 25 anni - aumenterà a 42 anni, secondo i dati della Divisione popolazione delle Nazioni Unite, citati dal Journal. Gli Stati Uniti hanno oggi un’età media di 36 anni, che dovrebbe aumentare a 41 entro la metà del secolo.

Nel suo messaggio, Benedetto XVI osserva che questa scarsa natalità è dovuta a cause molteplici e complesse. Ma, sebbene esse siano spesso di natura economica, sociale e culturale, “le sue radici profonde sono morali e spirituali. Sono dovute a un'inquietante mancanza di fede, speranza e, di fatto, amore”, aggiunge il Papa. Una mancanza difficilmente sanabile dalle politiche economiche.

da: Zenit org, 13 maggio 2006, 

Codice: ZIA06051301 

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Avvenire, 24 settembre 2005

Lezione dalla laica Francia

Gianfranco Marcelli

Una lezione di "sana laicità"? 
Uno schiaffo morale? 
O più semplicemente un istruttivo esempio di razionalità e buon senso? 
Come altro definire l'ultima proposta del governo francese per aiutare i genitori di quel Paese a fare più figli? 

L'iniziativa annunciata l'altroieri dal premier Dominique De Villepin alla conferenza nazionale della famiglia, ha destato interesse moderato presso i nostri cugini d'Oltralpe.

Ma proviamo a pensare quali reazioni si sarebbero scatenate in casa nostra se il presidente del Consiglio in carica (o il candidato premier avversario, perché no?) avesse proposto un assegno-premio di 750 euro netti al mese per ogni donna che accetta di fare il terzo figlio e rimane per un anno a casa in congedo parentale. 
Aggiungendoci, per sovrammercato, il raddoppio del credito d'imposta per le spese di asilo o baby sitting.

Proviamo a chiedercelo, sapendo che nella patria di Voltaire questo tutt'altro che disprezzabile "bonus" si aggiunge a una griglia già molto fitta di provvidenze e incentivi. 
E che il tutto poggia su una base solidissima di supporto fiscale, imperniata su quel famoso meccanismo (il quoziente familiare) in base al quale il reddito del nucleo viene suddiviso per il numero delle "bocche" prima di essere tassato. 
Ragion per cui, esattamente all'opposto di quanto avviene in Italia, le coppie con prole risultano nettamente avvantaggiate rispetto ai single o ai cosiddetti "dinks" (l'acronimo inglese - double income no kids: doppio reddito niente bimbi - che fotografa la moda dei coniugi in carriera contrari a procreare).

Se davvero ce lo chiedessimo, finiremmo poi per doverci stropicciare gli occhi increduli, nell'apprendere che l'anticlericalissima Francia, quella della legge contro il velo e i segni troppo vistosi di appartenenza religiosa, quella del "no" più tetragono alla citazione delle radici cristiane nel "trattato costituzionale europeo", escogita simili misure perché teme che la "République" finisca per spopolarsi troppo.

Proprio così: nel Paese dove la crisi demografica morde sì e no come un cucciolo di cocker, dove la "crescita zero", a differenza che da noi, è un incubo molto più remoto dell'uragano Rita, si continua a incitare pervicacemente a fare più figli, si stuzzica e si vellica con lussuose prebende economiche l'istinto riproduttivo dei concittadini. Senza nessuna paura di apparire degli inguaribili familisti "cathò" o, peggio ancora, dei cultori criptofascisti del mito della razza.
In realtà, anche questa volta abbiamo fondati motivi per ritenere che, tra l'Alpe e il Lilibeo, la notizia targata Parigi non farà granché sensazione, non innescherà laceranti dibattiti, non susciterà riflessioni né sui giornali né, ahinoi, tra gli addetti ai lavori preparatori della legge finanziaria. E non scatenerà neppure, come ci auguravamo pochi giorni fa, una gara programmatica emulativa tra i pretendenti alla "pole position" dell'imminente gran premio elettorale di primavera.

Tutt'al più, sentiremo ancora una volta intonare le solite geremiadi sulla scarsità di risorse disponibili, ascolteremo rassegnati le giaculatorie sulla precedenza da dare ai poveri e ai bisognosi. Quasi che l'aspetto centrale del modello francese, in tanti altri casi additato come esemplare, non consistesse proprio nella netta capacità di distinguere tra politica familiare e assistenza pubblica, perseguendo entrambe senza confusione. Ancorati all'idea di fondo, cartesianamente chiara e distinta, che i figli sono un valore in sé. E che non è necessario portare i pantaloni rattoppati per essere aiutati a farli, cooperando in tal modo al bene proprio e a quello della società.

Link diretto:http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2005_09_24/editoriali.html

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L’inesorabile calo demografico dell’Europa

Un libro verde UE ne delinea le problematiche future

Zenit, 10 settembre 2005

Bruxelles, sabato, 10 settembre 2005 (ZENIT.org).- L’Europa dovrà presto affrontare gravi difficoltà derivanti dal calo demografico in età lavorativa. In questi termini si è espresso Vladimir ©pidla, Commissario europeo per l’occupazione, affari sociali e pari opportunità, nel corso di una conferenza tenutasi a Bruxelles pochi mesi fa.

In un comunicato stampa dell’11 luglio emesso dall’Ufficio del commissario ©pidla, si spiega che è necessario riformare l’attuale modello sociale europeo e che è altrettanto importante raggiungere un più alto tasso di natalità ed un migliore equilibrio tra lavoro e famiglia. Un fallimento in questo ambito “pregiudicherebbe direttamente la futura crescita economica dell’Europa, gravando in modo insostenibile sulle spalle delle donne”.

La conferenza fa parte di un metodo di lavoro che è stato definito come “il processo del Libro verde” e che terminerà il 15 ottobre prossimo. La Commissione europea, dopo aver pubblicato il Libro verde nel marzo scorso, sta svolgendo adesso una serie di consultazioni, dal tema “Confronting Demographic Change: A New Solidarity Between the Generations”.

Il Libro verde, pubblicato il 16 marzo delinea in modo preoccupante le prospettive dell’evoluzione demografica in Europa. Esso afferma anzitutto che, sebbene le famiglie continuino a rappresentare una parte essenziale della società europea, esse non dispongono più di un ambiente che le sostenga nel mettere al mondo e crescere i figli...

Il tasso di fertilità è, senza eccezioni, ovunque al di sotto della soglia necessaria per garantire un ricambio generazionale, attestandosi a circa i 2,1 figli per donna, con tassi che in molti Paesi sono arrivati al di sotto dell’1,5...

Le conseguenze economiche

Le conseguenze economiche derivanti da questi cambiamenti demografici pongono un serio problema. Il Libro verde afferma senza mezzi termini che “mai nella storia si era registrata una crescita economica senza crescita demografica”.

...Il rapporto suggerisce una serie di misure che potrebbero essere adottate per affrontare questi rischi...

Riguardo al numero dei figli per famiglia, il Libro verde osserva che alcuni sondaggi hanno rivelato una discrepanza tra il numero dei figli che gli europei vorrebbero avere (2,3) e il numero dei figli che effettivamente hanno (1,5).

Questo implica che con misure adeguate, il tasso di fertilità potrebbe aumentare. L’attuale bassa fertilità è dovuta ad una serie di ostacoli, spiega il rapporto. Tra questi vi sono le difficoltà nel trovare un lavoro, l’alto costo degli immobili, nonché una carenza di incentivi come sovvenzioni alle famiglie, congedo parentale, assistenza relativa ai figli e un’effettiva parità di stipendio tra uomini e donne...

Al fine di innescare una ripresa demografica, il rapporto evidenzia due questioni fondamentali: “Quale valore attribuiamo ai figli? Siamo disposti a dare alla famiglia, quale che sia la sua struttura, la collocazione che merita nella società europea?”. Le risposte a queste domande potrebbero determinare il futuro dell’Europa.

da: Zenit org, 17 settembre 2005, 
Codice: ZIA05091001

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Falsi allarmi sulla bomba demografica

Avvenire, 10.07.2003

Un dossier della rivista «Ideazione» sui rischi della crescita della popolazione replica alle tesi del politologo Giovanni Sartori e di altri

Il pericolo paventato non dilaga, piuttosto emerge che il problema non è la carenza di risorse e di spazi abitabili, ma il tasso di povertà

di Lucetta Scaraffia

Uno degli argomenti per cui la Chiesa cattolica è oggi accusata d'essere oscurantista, se non addirittura di volere la rovina del genere umano, è senza dubbio la presunta sovrappopolazione del globo.

è una polemica che s'è aperta alla fine del Settecento, quando Thomas Robert Malthus spiegò come la crescita della popolazione dovesse essere frenata per permetterne la sopravvivenza. 

È curioso che questo nuovo argomento - fino a quel momento l'opinione diffusa era che la crescita della popolazione equivalesse a un aumento della ricchezza - venisse avanzato proprio quando la rivoluzione industriale stava per favorire un miglioramento mai visto delle condizioni di vita, tale da comportare un grande incremento della popolazione, che avveniva soprattutto per l'allungamento della vita umana e il calo drastico della mortalità infantile. Nonostante quest'evidente contraddizione con la realtà in atto, Malthus aveva trovato ampi consensi in un'élite intellettuale che si stava secolarizzando e alla quale non dispiaceva intervenire anche su un fattore che fino a quel momento era stato considerato «nelle mani di Dio», cioè il numero degli esseri umani.

I suggerimenti antinatalisti dei malthusiani si rivolgevano soprattutto alle classi inferiori, alle quali veniva consigliato di non riprodursi per non aumentare sofferenze e povertà. Il discorso non è molto diverso oggi, quando molti ambientalisti vorrebbero frenare il tasso di natalità dei paesi del Terzo Mondo con la scusa d'evitare loro una vita di povertà.

Quest'antica ma attualissima polemica viene affrontata nel prossimo numero della rivista «Ideazione», che in un dossier intitolato La bomba che non scoppia mette in discussione il libro che di recente Giovanni Sartori (con Gianni Mazzoleni) ha dedicato al tema, La terra scoppia. Ma la polemica ha un precedente: l'idea di raccogliere in un libro i suoi articoli sul sovrappopolamento era venuta a Sartori proprio dalle critiche che da «Ideazione» aveva ricevuto: «queste sciocchezze spiegano questo libro», scrive nell'introduzione.

Sartori sostiene con energia la tesi di molti scienziati ecologisti, secondo cui la terra starebbe andando verso una catastrofe a causa dell'esagerato aumento di popolazione, per il quale non sarebbero sufficienti le risorse del pianeta. è una tesi che ha molti adepti nel mondo e si basa sulla deriva catastrofista di molti scienziati o demografi di simpatie "verdi": forse per farsi ascoltare in una società che non ha molta voglia di riflettere sui costi del benessere in cui s'è abituata a vivere, questi prevedono il futuro con toni foschi e drammatici. E una delle caratteristiche di questi assertori del disastro demografico (tra cui Sartori) è di non ammettere repliche, sbandierando profezie sinistre con la sicurezza di chi avrebbe prove scientifiche dalla sua parte.

Ben vengano quindi la polemica e la discussione scientifica su posizioni che possono essere (e sono) molto discutibili, come sottolinea Eugenia Roccella: «il mondo della scienza non è una voce uniforme, ma un coro variegato da cui ci giungono informazioni spesso contraddittorie». 
Più che una prospettiva di devastazione accertata, quindi, si tratta d'un tema controverso.

Lo studioso danese Bjorn Lomborg, sulla scia del bioecologo Paul Ehrlich, sostiene che il problema centrale non è costituito dal numero delle persone, ma dalla possibilità d'un territorio di sostentarle. 
Egli ricorda infatti che Paesi Bassi, Belgio e Giappone hanno una densità di popolazione molto superiore all'India, e che quindi il vero problema non è la sovrappopolazione, ma la povertà. E che inoltre le condizioni di vita sono generalmente migliori nelle città, dove si raccoglie il maggior numero di abitanti, che nelle campagne, dove sono più radi.

In realtà, scrive Iannello, nessuno sa se siamo davvero troppi sulla terra, l'unica certezza che si ricava dalle analisi statistiche è che «non esiste alcuna relazione di causa-effetto tra densità abitativa e ricchezza o viceversa». Sartori inoltre sembra ignorare che l'allarme sulla sovrappopolazione è fuori tempo, dal momento che da almeno vent'anni il tasso di fertilità del mondo è in discesa significativa: dal tasso di crescita del 2,1 per cento degli anni Sessanta s'è passati all'1,2 di oggi.

La proposta che il giornalista Iannello avanza è molto diversa da quella di Sartori: il rimedio alla povertà del mondo non è bloccare coattivamente le nascite (come fa la Cina che Sartori, almeno da questo punto di vista, guarda con benevolenza) ma favorire quanto stimola il benessere, cioè la proprietà privata e il mercato.  All'accusa di Sartori che ci manca spazio il giornalista replica che l'intera popolazione mondiale potrebbe oggi insediarsi nel Texas, dove comunque una famiglia di quattro persone avrebbe a disposizione l'equivalente d'un isolato urbano.

L'uomo non è maledizione ma benedizione del pianeta, sostiene Antonio Gaspari, e non è impoverimento ma ricchezza del mondo, come diceva con semplice ma profondo buon senso Giovanni Guareschi, in un articolo scritto su questo tema su «Candido» e ora ripubblicato.

Lucetta Scaraffia

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Gli Usa tagliano i fondi alla lobby contraccettiva. 
La Ue li aumenta

di Gaspari Antonio

Nel silenzio dei media europei (e italiani, cattolici compresi), la settimana scorsa il presidente americano Bush ha annunciato un cambiamento radicale della politica demografica statunitense. Per la prima volta negli ultimi trenta anni, il Governo Usa dice “No” alle politiche di controllo demografico e taglia i fondi destinati all’Unfpa, il fondo delle Nazioni Unite che promuove e applica i programmi di controllo delle nascite. Il presidente Bush, attraverso la Segreteria di Stato, ha bloccato i 34 milioni di dollari che, in un primo momento, il Congresso aveva destinato al Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa). E lo ha fatto nel rispetto di una legge degli Stati Uniti, il Kemp-Kasten Amendment, per la quale: «nessuno stanziamento [...] può essere assegnato ad alcuna organizzazione o programma che, come stabilito dal Presidente degli Stati Uniti, sostenga o prenda parte alla gestione di un programma di aborto forzato o di sterilizzazione non voluta».  

Lunedì 22 luglio il portavoce del Dipartimento di Stato Richard Boucher, nell’annunciare la decisione, ha infatti sostenuto che il provvedimento è stato reso necessario in quanto «una parte dei soldi dell’Unfpa finisce alle agenzie cinesi che mettono in atto programmi di pianificazione familiare coercitivi» tra cui l’aborto. Sul banco degli accusati, l’appoggio dell’Unfpa alla politica del figlio unico della Repubblica Popolare Cinese. Boucher ha presentato i risultati forniti da una commissione di indagine del Dipartimento di Stato che a maggio era stata inviata in Cina, dove la Commissione ha riscontrato che vi sono leggi secondo cui «la nascita di un bambino che violi la politica governativa di pianificazione familiare determina una imposizione fiscale di 2 o 3 volte il reddito annuale delle due parti coinvolte» e il ripetersi dell’infrazione raddoppia l’ammenda. 

Ma al di là dell’indagine del Dipartimento di Stato, a provare gli abusi del regime cinese ci sono i risultati di una investigazione privata condotta in Cina da Steve Mosher, presidente del Population Research Institute. Filmati, interviste audio/video, fotografie, testimoniano con grande evidenza casi di aborto forzato, sterilizzazioni non volute e altri soprusi. Le violazioni non riguardano solo il diritto alla vita ma l’intero corpo dei diritti umani. In proposito, il Population Research Institute ha raccolto testimonianze su una ragazza 19enne obbligata all’aborto perché troppo giovane per procreare secondo la legge; su donne che rifiutano di abortire dopo il primo figlio punite con la distruzione della casa e l’arresto dei familiari; sull’obbligo alle donne cinesi di sottoporsi a quattro ispezioni annuali per garantire l’uso di dispositivi intrauterini.  

I 34 milioni di dollari non erogati all’Unfpa verranno destinati all’Usaid’s Child Survival and Health Program Fund, cioè assegnati per la salute e la sopravvivenza dei nascituri. L’amministrazione statunitense vuole sostituire i «servizi per la salute riproduttiva», con programmi per «cure di medicina della riproduzione». Questo significa che dovranno essere favorite le nascite piuttosto che i mezzi chimici e chirurgici abortivi. Paradossale il comportamento dell’Unione Europea, che per mantenere la promessa fatta l’anno scorso dal commissario europeo per lo sviluppo Paul Nelson di intervenire in soccorso dell’Unfpa nel caso gli fossero stati cancellati i finanziamenti americani, coprirà il buco creatosi dopo la decisione di Bush con un contributo di 32 milioni di euro. Così i soldi dei contribuenti europei andranno a finanziare i piani di “colonialismo contraccettivo”. Di fronte a tale situazione stupisce il silenzio dei mass media  italiani.

Claudio Damioli e Antonio Gaspari

era in: www.tempi.it/archivio_dett.aspx?idarchivio=4135 (Tempi, numero 31, 1 Agosto 2002)

Home page: www.tempi.it/

per gentile concessione

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